Si parla di questa malattia fin dall'antica Grecia; in antichi testi di medicina è possibile ritrovare una molteplicità di sinonimi per indicare il concetto di “fame morbosa”.
Il primo studioso che descrive con una certa accuratezza la bulimia è James che nel 1743 la definisce come disturbo che si manifesta con attacchi ripetuti di appetito insaziabile e con un' esagerata ingestione di cibo.
Successivamente studiosi come Motherby (1785), e poi Hooper (1831), distinguono addirittura tre tipi di bulimia:
- il tipo caratterizzato dal puro eccesso alimentare,
- quello in cui l’abbuffata è seguita dal vomito
- quello in cui la crisi alimentare si associa alla perdita di coscienza.
Nel 1797 l’Encyclopaedia Britannica definisce la bulimia come un disturbo in cui il paziente ha un continuo e insaziabile desiderio di mangiare che, se non appagato, provoca svenimenti.
E' Blanchez che nel 1869 parla della bulimia come di una vera e propria sindrome e la suddivide in due categorie:
- cynorexia in cui è presente il vomito associato alla crisi,
- lycorexia nella quale è presente un accelerato transito intestinale del cibo che viene rapidamente espulso
Verso la fine del XIX secolo la bulimia è stata associata a disordini della sfera emozionale e mentale (nevrosi e psicosi).
Secondo Habermas (1989) la bulimia come la intendiamo oggi sarebbe comparsa non prima degli inizi del 1900 e avrebbe raggiunto una certa consistenza solo a partire dagli anni ’50 sia in combinazione che indipendentemente dall’Anoressia.
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